lunedì 18 maggio 2015

Arcobaleno d'inchiostro - I VINCITORI!


Eccoci ad annunciare i vincitori della gara 3 del contest letterario Arcobaleno d'Inchiostro, sul genere comico.

Prima di passare alla proclamazione dei migliori racconti vogliamo fare una piccola precisazione: nonostante il genere particolarmente difficile da gestire sono stati tanti i racconti inviati così, di comune accordo con il giudice, abbiamo deciso di non premiarne solo uno, bensì tre!

Quindi da parte dello staff di Magla, l'isola del libro, facciamo i più sinceri complimenti agli autori selezionati e ringraziamo tutti i partecipanti per aver partecipato a colpi di penna a questa nuova disputa letteraria!

Ma ora arriviamo al momento clou di questa gara 3 (genere Comico), del nostro contest dei generi letterari: ecco i vincitori!

Il giudice di questa prima sfida, Antonio Borghesi, ha decretato i vincitori, e quindi lasciamo a lui la parola...








RACCONTO VINCITORE
Il signor Michele del settimo piano
di Wanda Biancolini


Il racconto è scritto con una eccellente ironia che induce al sorriso almeno due o tre volte.
Il personaggio del vecchietto è veramente attendibile e fa tenerezza in chi legge.
La parte migliore è concentrata nei suoi vari cambiamenti di memoria. Ottiene il primo gradino del podio.



MENZIONE SPECIALE 
La maledetta ora legale
di Diego Zucca




Menzione speciale a questo racconto/barzelletta che avrebbe potuto ottenere il primo posto se non fosse per una battuta sul -'un trombo- già abbastanza nota soprattutto in Toscana.
Il finale avrebbe anche potuto non esserci.







MENZIONE SPECIALE
Lo strano caso del Dottor T.
di Monica Coppola
Merita una menzione per l'ironia con la quale è descritta una visita dall'allergologo.
Il finale sciupa un po' la bontà del racconto. Però fa sorridere l'elenco in vulgaris di tutte le allergie e anche qualche domanda della protagonista.
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 Ecco quindi i racconti premiati 

racconto vincitore

Il signor Michele del settimo piano

Wanda Biancolini

Continuava a premere il bottone di chiamata dell’ascensore; per sicurezza. Aveva sentito del trambusto era uscito sul pianerottolo e, sporgendosi un po’, aveva visto la signora del sesto piano uscire di casa e le aveva chiesto cosa fosse successo. “Ascensore rotto!” aveva sorriso lei guardando in su.

Non era molto convinto, perciò provava di persona. Da qualche tempo, chissà perché, un sacco di persone gli mentivano. Compresi i suoi figli. Non che quella bella signora potesse essere una bugiarda, per carità, però…non si sa mai con le donne!

Lui quella mattina doveva proprio uscire: si sentiva meglio, c’era il sole e gli servivano assolutamente le uova. Suo figlio lo aveva pregato, supplicato, di non uscire da solo dopo l’operazione all’anca ma che ne sapeva quel ragazzo... sempre lì a dirgli cosa doveva o non doveva fare: era suo padre, non un ragazzino! Borbottava ancora mentre rientrava in casa, si metteva il cappello e prendeva il carrello della spesa. Guardò con sospetto il cellulare posato sul mobiletto dell’ingresso con vari numeri scritti molto grandi su un’agendina; li ignorò entrambi ed uscì.

Scendeva le scale barcollando leggermente ed al quinto piano dovette proprio fermarsi. Mentre riprendeva fiato pensava “cosa devo comprare? Ah sì, il latte per domattina” ridacchiò congratulandosi con se stesso per la sua memoria; suo figlio era convinto che non ricordasse più niente: figurarsi! Lui che aveva fatto la guerra e nel ’44 era partigiano sulle montagne biellesi. Ricordava ancora il suo nome di battaglia, Furia, altrochè smemorato..

Al terzo piano era senza fiato. Le gambe erano diventate due pezzi di legno e dovette restare appoggiato al suo carrello per mantenere l’equilibrio. Nel frattempo si era accorto che quel giorno per le scale si rincorrevano molte voci ma lui non sentiva molto bene perché gli si erano anche tappate un pò le orecchie ed un fastidioso ronzio non gli permetteva di capire le parole. Ma chi era che gridava così forte “AIUTO, MUOIO”? Lo chiese ad un signore che stava parlano con la porta chiusa dell’ascensore. “Mia moglie” spiegò l’uomo “E’ una donna molto sensibile e chiusa lì dentro soffre molto... NON PREOCCUPARTI CARA! TRA QUALCHE MINUTO SARAI FUORI” gridava per rassicurarla. “Ha paura dentro l’ascensore? Ma si figuri! MA LO SA SIGNORA” gridò anche lui alla porta chiusa” CHE IO NEL ’44 SONO STATO CHIUSO IN UN LOCULO PER TRE GIORNI CON I TEDESCHI CHE PIANTONAVANO IL CIMITERO? CI VUOLE POCO PER SVENIRE SENZA ARIA DENTRO UN LOCULO SA?” 
La signora, dopo un attimo di silenzio, scoppiò a piangere. Il marito gli scoccò un’occhiataccia che non arrivò a destinazione perché il vecchietto era partito alla volta del secondo piano, fiero di se stesso per aver contribuito a sollevare il morale della reclusa. Riuscì ad arrivare al primo piano dopo aver scambiato due parole con un signore molto simpatico al piano di sopra: doveva consegnare un elettrodomestico enorme ed il guasto dell’ascensore era stato un grosso problema. Dopo qualche minuto di conversazione avevano stabilito che quella lavastoviglie non dava poi così fastidio sul pianerottolo: d’altronde si passava abbastanza agevolmente e poi ci si poteva anche appoggiare per riposarsi.. simularono l’operazione e decisero che si poteva senz’altro attendere che riparassero il guasto.

“Mi ha fatto piacere parlare con lei, ragazzo, ma ora devo proprio andare altrimenti la posta chiude e io devo pagare una bolletta sa…” Il ragazzo di 56 anni e tre figli lo guardò con tenerezza e gli augurò buona giornata.

Al primo piano era ormai stanchissimo. La signora con l’aria arcigna e la vestaglia a fiori non sembrava nemmeno vederlo: andava avanti e indietro sul pianerottolo ripetendo “l’avevo detto io che prima o poi si sarebbe bloccata…diavolerie moderne…l’avevo detto io…” Il vecchietto riuscì finalmente a guadagnare il portone. Uscì nel sole proprio mentre la campana della chiesa vicina suonava gli ultimi rintocchi del mezzogiorno. Si fermò un attimo sulla soglia chiedendosi perché mai non avesse preso il suo carrello… ci si sarebbe potuto appoggiare… pazienza, ne avrebbe fatto a meno… Dunque, cosa doveva comprare? Ah sì, una bella piantina di basilico, che fa proprio estate!



menzione speciale

La maledetta ora legale

Diego Zucca

Marco era un avvocato, Vincenzo un dottore. Ogni sabato andavano a caccia insieme. Si chiamavano sempre affettuosamente con nomignoli, Marco chiamava Vincenzo “Il macellaio” e Vincenzo chiamava Marco “Perry Mason”.
Un giorno Vincenzo decise di confidarsi con Marco.
- Sono un primario, ho la villa con piscina, ma non mi sento amato dalla mia famiglia.
Marco cercò di minimizzare, dicendo che erano solo sue impressioni.
- Mia moglie si è fissata con i giochi tipo le tombole, e da quando ha saputo questo suo vizietto, Don Luigi, il parroco del paese, non fa altro che fregarla. Ha organizzato “tombole benefiche” per i bambini bisognosi, senza peraltro specificare quali, salvo poi comprarsi il nuovo profumo di Dolce&Gabbana…
- In questo caso direi Dolce e Gabbata. – scherzò Marco.
- L’ha già fregata almeno una trentina di volte. Per non parlare di mia figlia…
- Anche tua figlia?
- Ho scoperto che ha la passione per l’ornitologia. L’ho vista mentre parlava di cinema con un canarino, di sport con un corvo e di moda con una colomba bianca. Poi ci gioca, li bacia… Ti sembra normale?
- In effetti non molto…
- E non so perché vuole nascondermi questa sua passione, fa tutto di nascosto. Ne parlasse con me, le comprerei un binocolo.
- Anche io a casa ho un passerottino, è dolcissimo…
- E dulcis in fundo, mio figlio. Ha una smisurata passione per il golf. Ogni due mesi si compra le mazze nuove e un sacco di palline. Prima di iniziare a giocare, lucida tutti i suoi ferri, poi carezza sempre tutte le palline, è convinto che porti fortuna. Ma se entro la fine dell’anno non migliora, gliele farò mangiare tutte quelle palline che si è comprato…- poi prese fiato e proseguì: - Se un giorno mi dovesse succedere qualcosa, vai al mio funerale e di’ a tutti ciò che io sapevo…
Marco era scioccato, non si aspettava tanta infelicità in quella famiglia che lui, pur non avendo mai visto, aveva sempre un po’ invidiato. Un uomo solo in mezzo a parenti persi nei loro interessi.
Un fine settimana come gli altri Marco andò a caccia e trovò Gilberto, un toscanaccio amico di Vincenzo. Stava piangendo come un bambino. Marco gli si avvicinò:
- Gilberto, o cosa è successo?
- Un trombo.
- Vabbè, quanto tempo sarà mai passato?
- Due giorni.
- Vabbè, io ‘un trombo da sette mesi, ma mica piango così…
- Ma cosa hai capito? Vincenzo…
- Cosa, anche Vincenzo ‘un tromba?
- No, Vincenzo ha avuto un trombo, è morto ieri sera.
Marco quella sera bevve tantissimo. Il funerale sarebbe stato alle dieci. Marco si alzò, guardò l’orologio con la testa che ancora gli doleva ed andò in chiesa. Avevano già chiuso la bara. Un’occhiata ai presenti. C’erano la moglie, la figlia, il figlio e pure il prete. Marco andò sul palco e prese il microfono.
Ciò che Marco aveva dimenticato, era l’ora legale. Non aveva rimesso l’orologio un’ora indietro. Arrivò quindi al funerale non alle dieci e un quarto, bensì alle nove e un quarto. E il morto non era Vincenzo, ma un vecchio mafioso.
Sua moglie era una signora dell’est molto più giovane di lui. La signora aveva in realtà una storia d’amore col parroco del paese.
La figlia del vecchio mafioso era invece una ragazza che amava farsi sbattere dalle gang.
Il figlio invece aveva scoperto la sua vera sessualità baciandosi ad una festa per scherzo con un altro ragazzo.
Marco li guardò. Gli facevano schifo. Avevano trascurato Vincenzo portandolo a morire infelice. Prese il microfono e si schiarì la voce.
- Sono qui per dirvi che il mio amico che giace qui dentro, “Il macellaio”, come lo chiamavo io, sapeva tutte le vostre tresche.
In sala i presenti sussultarono.
- Chi è lei? – chiese la figlia.
- Sono quello con cui andava a sparare il sabato…
Tutti impallidirono.
- Se ne vada!- scattò furiosa la moglie.
- Stia zitta! Suo marito sapeva tutto del suo vizietto…
- Lei non mi piace… - proseguì la moglie.
- Però Le è piaciuto farsi inculare ripetutamente dal prete.
- Come si permette!- iniziò a gridare isterica la moglie.
- Suo marito sapeva che è successo minimo una trentina di volte.
Il prete, un po’ defilato, cercò di appiattirsi contro il muro, pensando:
“Una trentina di volte… al mese! E come faceva a sapere che preferivo proprio quel buco? Ci spiava?”
- Lei è un mascalzone! – gridò superba la figlia.
- E Lei? – gli gridò di rimando Marco – Che di nascosto da Suo padre va a guardare gli uccelli! Mi ha detto che non solo Le piace guardarli, ma ci parla, ci gioca e persino li bacia!
La ragazza posò uno sguardo glaciale su Marco.
- E’ geloso?
- Ah no, io ho solo uno e non lo do certo a Lei! Invece di perdere tempo con tutti quegli uccelli, se ne compri uno e se lo tenga in casa, così ci può fare cosa vuole!
La ragazza si morse il labbro.
Fu Marco a rincarare:
- Che poi gira voce che non sia razzista, che siano bianchi, neri o gialli, basta che siano uccelli, vero? Suo padre avrebbe voluto che lei si togliesse dalla testa questa sua fissazione…
Fu il ragazzo ad alzarsi con movimenti aggraziati, pensando di gridare, ma invece gli uscì una vocina stridula da eunuco di corte:
- Come si permette! Chieda subito scusa a mia sorella!
- Parla proprio Lei che alle buche preferisce le mazze?
- Come, pardon?
- Suo padre sapeva tutto della sua smisurata passione per le mazze…
- Lo sapeva? – chiese incredulo il ragazzo.
- Come sapeva che ti piace carezzare le palle prima di iniziare…
- Mi ha sempre detto che mi avrebbe fatto mangiare le mie di palle se avesse scoperto una cosa simile…
- Anche a me lo aveva detto…
Il prete batté con la mano sulla spalla di Marco.
- Se vuole dare un ultimo saluto a Don Calogero…
- Don chi?
- Don Calogero, il defunto…
- Come, non Vincenzo?
- No, Vincenzo è alle dieci…
Solo in quel momento Marco capì il suo errore, mentre tutti lo guardavano con odio. Marco però non volle ammettere l’errore.
- Se vi siete offesi, vuol dire che un non sono andato lontano dalla verità - poi si rivolse alla figlia – Anzi, con Lei ho sbagliato termine, non le piacciono gli uccelli, le piacciono proprio i cazzi… - e se ne andò aumentando il passo.



menzione speciale

Lo strano caso del Dottor T.

Monica Coppola

Da qualche giorno le cose mi quadravano meno del solito.
Starnutivo ripetutamente ed avevo sempre sonno.
In più, tanto per gradire, mi erano comparse due macchioline rosse sul collo che mi facevano sembrare un appetibile dessert per giovani licantropi.
Così la Dottoressa C., medico curante, mi ha spedita dritta dall’esimio Dottor T., allergologo di sua fiducia.
Calvo e mingherlino, occhietti penetranti e un camice che quasi sembrava danzare attorno alla sua esile figura, il Dottor T. mi ha osservata grattandosi il mento ossuto.
"E' solita ad usare gioielli in acciaio, nichel o..."  mi ha domandato, indirizzando uno sguardo torvo ai miei orecchini "…plastica e altre diavolerie simili?"
Istintivamente la mia mano è corsa a coprire le lunghe margherite made in china che penzolavano allegramente sul mio lobo sinistro.
"Bhe, sì. Ma solo ogni tanto…" ho ammesso imbarazzata
"Mmm… lo sospettavo" ha mugugnato maneggiando con alcune provette "Fuma, beve o fa uso di sostanze particolari?"
"Macchè!" ho scosso subito la testa con decisione "Non reggo nemmeno un sorso di Heineken!"
"Mmm … sospettavo anche questo" ha aggiunto osservandomi  con commiserazione.
Poi ha inzuppato un batuffolo in una tazza d’alcol cospargendomi l’avambraccio di gocce minuscole, mentre la sua penna, lunga ed affilata, scarabocchiava incomprensibili simboli.
A quel punto i sospetti sono venuti a me…
I suoi occhi da pipistrello hanno iniziato quasi a roteare mentre dalle sue labbra sottili si diffondevano vocaboli sconosciuti “Cladosporium herbarum…mucor mucedo…alternaria tenuis…pennicillum notatum.”
Mi sentivo la protagonista di un rito esoterico e temevo che il suo camice iniziasse a volteggiare come uno spettro, circondato da pozioni che si libravano in volo, sogghignanti.
La lamella del Dottor T. intanto mi punzecchiava, saltellando da un braccio all'altro.
Quando stavo per temere il peggio ha bofonchiato qualcosa tipo “Epitelio di cane” ed ho sentito rinascere in me la speranza.
Anche se un cane non ce l’avevo ho colto la palla al balzo per cercare di placare quella sua bizzarra smania "…serve un cane? Vado a cercarne uno?" ho domandato tentando di riprendermi le braccia.
Lui mi ha ignorata completamente.
Animato da una frenesia ancora maggiore ha proseguito baldanzoso la sua cantilena.
"Epitelio di coniglio, epitelio di cavia, robinia, frassino, sambuco, assenzio selvatico, dente di leone, paleo odoroso, bambagina, crisantemo..."
Al suono dell’ultimo sostantivo floreale ho pensato che ormai tutto era perduto: la mia esistenza si sarebbe conclusa lì, con le braccia ridotte come un colabrodo, alla mercé di uno sciamano che, probabilmente, svolgeva la professione di allergologo per copertura.
E mentre un alone nostalgico avvolgeva i pensieri di tutte le cose che non avevo fatto e che avrei voluto fare,  mi è venuto in mente che forse l’insolito trapasso poteva assicurare fama e pubblicazione al mio romanzo inedito.
Stavo già per valutare la cosa quando ho avvertito le dita minuscole del Dottor T. arrampicarsi come ragni sulla mia spalla.
"Signora? Signora? Abbiamo terminato. Può andare."
Mi sono stropicciata gli occhi  come se mi risvegliassi da un incubo ed ho osservato le mie braccia a pois, tutte pigmentate d’inchiostro.
"E allora? A cosa sono allergica?"
Lui ha guardato l’orologio che già segnava le diciotto e trenta, ha sbuffato ed ha aggiunto laconico "A niente."
"Come sarebbe a niente? E le macchie? Gli starnuti?" e anche i miei centocinquanta euro volevo aggiungere, ma sono stata zitta.
Lui ha arraffato una serie di moduli e spazientito li ha spinti sotto al mio naso "Lo vede? Lo vede? Le ho testato di tutto! Graminacee, micofiti, acari, epiteli e anche piante composite! Lei non è allergica proprio a niente!"
Cogliendo la mia aria perplessa ha proseguito con tono più pacato "Mi creda, lei tollera proprio tutto! Conifere, lieviti, pellicce di animali" ed ha puntato gli occhi miopi sui miei lobi "e anche quelle cianfrusaglie che si è messa sulle orecchie! E adesso perché non esce di qui e va a prendersi una bella birra?"
"No guardi la birra io proprio non…"
"Vada, vada…" ed ha iniziato a spingermi verso l’uscita "mi creda che a una come lei luppolo e malto d’orzo fanno solo il solletico."
"Ma veramente io…" ho tentato di replicare ma lui ha richiuso la porta dello studio senza troppi complimenti.
Ancora frastornata per l’esperienza surreale dei prik test, ho pensato che la vicenda aveva il suo lato positivo.
Se mi fosse venuta voglia di rotolarmi tra la gramigna, con un dente di leone tra i capelli, in compagnia di pelosi gatti, cavie e criceti, sgranocchiando arachidi e crostacei e magari annaffiando il tutto con un litro di Heineken, ora potevo farlo in tutta tranquillità: non mi sarebbe comparsa nemmeno una minuscola macchiolina.


1 commento:

  1. Ringrazio il giudice per aver apprezzato questo mio racconto, e faccio tesoro dei suoi consigli

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