Eccoci ad annunciare il vincitore della gara 5 del contest letterario Arcobaleno d'Inchiostro, sul genere giallo.
Prima di passare alla proclamazione del racconto migliore vogliamo fare una piccola precisazione: sicuramente un genere complesso come il giallo ha necessità di più spazio per essere affrontato in modo dettagliato, però il gioco-contest è così e le sue regole valgono per ogni gara. Merito quindi agli autori più coraggiosi che si sono cimentati in questa tornata e, proprio per questa ragione abbiamo deciso di comune accordo con il giudice di premiarne solo uno.
Da parte dello staff di Magla, l'isola del libro, facciamo i più sinceri complimenti all'autore selezionato e ringraziamo tutti
i partecipanti per aver gareggiato a colpi di penna a questa nuova
disputa letteraria, particolarmente difficile e impegnativa, come lo è
il genere GIALLO.
Ma ora arriviamo al momento clou di questa gara 5, del nostro contest dei generi letterari: ecco il vincitore!
Ma ora arriviamo al momento clou di questa gara 5, del nostro contest dei generi letterari: ecco il vincitore!
...Il giudice di questa sfida, Gino Marchitelli ha decretato il racconto che più si avvicina ai canoni del genere letterario affrontato e quindi lasciamo a lui la parola...
RACCONTO VINCITOREL'uomo con la cernieradi Caterina Silvia Fiore
La motivazione del giudice:
Il racconto di Caterina Silvia Fiore riesce a condurre, in poche battute, il lettore su un terreno di mistero che lo porta a farsi le necessarie domande a chi legge di giallo e mistero. Il lettore si chiede il perché di quella cicatrice, le descrizioni delle sensazioni vissute dal protagonista sono ben descritte e creano l'immedesimazione nelle condizioni "di vita" del personaggio. Le riflessioni sono riportate in modo accurato e ben comprensibile in alcuni passaggi. La descrizione è cinematografica e "fa vedere" al lettore la scena.
E' sicuramente il miglior racconto tra quelli ricevuti.
Il lato debole, per voler essere un giallo/mistero, è che non si comprende la motivazione che ha portato alla "separazione" in due di Nicholas. Lo spiega il titolo ma non il finale se non in senso metaforico.
Rimane comunque il racconto più completo tra quelli ricevuti. Complimenti a Caterina Silvia Fiore, ma c'è ancora molto da lavorare... :-D
(Gino Marchitelli)
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Ecco il racconto premiato
racconto vincitore
L'uomo con la cerniera
Caterina Silvia Fiore
Questa era
la seconda mattina che si svegliava con una sensazione angosciante al
pene, come se una ventosa sottopelle stesse risucchiandolo
dall’interno del suo corpo, creando istanti di acuto dolore che
inviavano al suo cervello dei black out temporanei.
Allungando
la mano si toccò la zona attorno al membro, toccò l’ammasso di
carne spessa e rosea che divideva in due il suo ventre, l’accarezzò
dolcemente, come a volerla ammansire, poi le sue dita proseguirono
lungo la linea callosa che diventava di un rosso vivo, mentre saliva
a dividere in due parti il torace muscoloso.
La cicatrice
proseguiva verso il collo, tagliava in due il viso e la parte
terminale era nella fronte, dove l’ultimo centimetro di pelle,
neanche a farlo apposta, era frastagliato a mo’ di ricamo e
sembrava chiudere, come un fermaglio, questo lungo percorso di
carnalità aggiunta.
Nicholas
faticò a sollevarsi in posizione eretta, le braccia gli tremavano,
sentiva nelle narici odore di canfora, di vecchio, di armadi stantii,
di ritorno alle origini.
Si guardò
intorno, non riconoscendo immediatamente quella stanza, il letto, i
pochi essenziali mobili che occupavano uno spazio molto esiguo, il
caldo umido gli rendeva difficoltoso ogni movimento.
Si fece
forza e si alzò, come un naufrago sbattuto sulla terraferma,
abbandonato da tutti, si diresse verso quello che credeva fosse un
bagno.
Aprì la
pesante porta in legno grigio che conduceva ad un piccolo gabinetto,
dotato di un water, una vasca piccolissima e forse non utilizzata
nell’arco degli ultimi dieci anni. E scaffali, tanti scaffali, dove
vi erano posizionati sopra diverse bottiglie piene di un liquido
trasparente.
Adesso
l’odore di canfora era fortissimo, tale da bruciargli la gola e il
naso ma gli scappava da pisciare e cercò di trattenere il respiro
per quegli istanti che gli occorrevano a svuotarsi.
C’era uno
specchio da quattro soldi, sopra il lavandino, la cornice in plastica
bianca era spezzata in più punti e la superficie opaca rifletteva il
volto di un uomo marcio, nell’odore umido e pungente che soffocava
il fiato senza armistizio.
Ebbe paura.
La sua mente
cercava di ricordare, ma ad ogni tentativo sentiva bruciargli quel
pezzo di carne aggiunta che si ritrovava sulla fronte, come se ogni
volta cercasse di far saltare quello strano lucchetto che sembrava
marchiarlo per sempre.
Certe
immagini gli erano rimaste, come buie orme lo conducevano verso
qualcosa, ma erano come piccole fessure create su un pesante tendone
di scena, incommensurabilmente troppo piccole e lo facevano
annaspare, come avesse fame d’aria, un’aria impregnata di troppe
cose.
Si sciacquò
la faccia velocemente, la vasca sporca non lo invogliava a fare
altro, poi tornò nell’altra stanza, quella che conteneva il letto.
Sulle
lenzuola erano posati un pantalone verde e una camicia bianca, ben
stirati, un paio di mocassini nuovi, la suola dimostrava che non
erano mai stati indossati, un documento d’identità. Prima non
c’erano.
Si avvicinò
al letto e prese il tesserino, lo guardò e non ebbe alcun ricordo,
non lo collegò alla sua persona, né al suo passato, né al suo
presente.
Fece per
prendere la camicia ma dovette piegarsi in due per i dolore al
ventre. Ancora risucchi dall’interno.
Sgomento si
guardò la cicatrice che lo divideva in due, era ferma, immobile,
tutto lo sconvolgimento stava avvenendo sotto la superficie,
esternamente appariva solo una innocua testimonianza di qualcosa di
aperto e di richiuso, nulla lo aiutava a ricordare, a capire.
Nicholas
indossò il pantalone e la camicia, la taglia era perfetta, si mise
ai piedi i mocassini, meravigliandosi della loro vestibilità e
morbidezza, non avrebbe mai scelto quella roba, no, di questo era
sicuro, non sapeva il perché ma ne era sicuro. Lui non era così.
Le manovre
della vestizione si conclusero, non senza una sofferenza continua,
soffusa e sorda.
Si sentiva
stonato, fuori posto, come se avesse vissuto qualcosa di tormentoso
ed ora stesse in un limbo, impotente, incapace di fare qualcosa per
non mettere un piede in fallo e morire.
Chiunque
fosse, lo aveva privato di tutto, della sua identità, della sua
libertà, del suo futuro.
Uscendo da
quel piccolo appartamento, Nicholas si ritrovò in strada, sotto un
sole accecante.
Fu allora
che l’uomo si chiese se la vita e la morte fossero due stati
separati o connessi intimamente tra loro, perché lui era lì,
camminava, respirava, sudava, ma era morto, sì, era un fantasma
incredulo che percorreva una via sconosciuta, pregna di odori strani,
che scavavano un passaggio dentro le sue narici fino ad esplodere nel
cervello, nauseanti, rumori che violentavano le sue orecchie,
individui che passavano veloci urtando le sue membra, lasciando un
olezzo di pelle abbronzata e impregnata di crema doposole, magari lo
sfioravano anche debolmente, ma per lui erano come scudisciate feroci
che affondavano nella carne.
Decise
che non avrebbe cercato di scoprire chi fosse, continuò a camminare
avendo sempre in testa una frase di Sofocle: “Meglio sarebbe non
essere mai nati, ma essendo nati, meglio è ritornare il più presto
possibile là da dove si è venuti, e cioè morire giovani”. E
così, in quell’estate rovente, un profilo d’uomo girovagò a
lungo senza meta, arrivando al porto, arrivando al mare. Poi, nessuno
lo vide più.
Brava la vincitrice però mi piacerebbe leggere anche tutti gli altri e non solo il loro incipit.
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