lunedì 23 marzo 2015

[Arcobaleno d'inchiostro] - I Vincitori!


Eccoci ad annunciare i vincitori della gara del contest letterario Arcobaleno d'Inchiostro, sul genere romantico.
Prima di passare alla proclamazione dei migliori racconti vogliamo fare una piccola precisazione: tanti sono stati i racconti inviati che abbiamo deciso di non premiarne solo uno, bensì tre!
Quindi da parte dello staff di Magla, l'isola del libro, facciamo i più sinceri complimenti agli autori selezionati e ringraziamo tutti i partecipanti per averci sommerso di racconti!

Ma ora arriviamo al momento clou di questa gara 1 (genere Romantico), del nostro contest dei generi letterari: ecco i vincitori!

Il giudice di questa prima sfida, Laura Bassutti, ha decretato i vincitori, e quindi lasciamo a lei la parola...


Voglio innanzitutto fare i miei complimenti ai diversi autori che hanno partecipato al contest Arcobaleno dinchiostro per il livello sicuramente buono e apprezzabile dei loro racconti.



Proprio per questo, con il team di Magla abbiamo pensato alla possibilità di concedere una menzione donore a un autore e a un’autrice per i loro testi, oltre alla proclamazione del racconto vincitore.

A questo punto, rendo note le mie decisioni...





RACCONTO VINCITORE
Always
Francesca Faramondi




Con una prosa elegante nella sua sobrietà, l’autrice narra di un amore proibito, del dolore, del sapore acre della rinuncia e del ricordo, unico compagno di un uomo solo, che non ha più né desideri né speranze.
Always è la storia del sentimento intenso che unisce Clara e Will. Lei ballerina al Palomina, una sala da ballo dei tempi passati, lui cliente ricco capace di riservare l’intero carnet di Clara, impegnandola per tutta la serata danzante. Anche se non balleranno mai insieme, nemmeno una volta sola.
Si innamorano, questo importa, ma il loro sentimento non vivrà al di là e al di fuori di quella sala da ballo.
Lei è sposata, prigioniera di un matrimonio d'apparenza, di un presente fatto di un inganno malato e della recita ossessiva del marito che, ormai senza lavoro, continua a simulare un ruolo professionale e di vita che non gli appartengono più.
Clara ama profondamente Will ma, nonostante lo sfacelo del suo patetico e triste ménage coniugale, rinuncia a lui perché decide di donare il suo cuore e la sua vita a Bobby, il suo bambino.
Le serate trascorse a parlare con Will, perduti l'uno negli occhi dellaltra, la compaesano di ogni cosa e riscattano il grigiore della vita di entrambi fino a che accade linevitabile: il marito di viene a sapere di loro.
Clara abbandona il Palomina, negando a Will quellunico e ultimo ballo che potrebbero danzare insieme sulle note di una canzone, Always che suonava quando si incontrarono. Si allontana per sempre da lui lasciandogli il ricordo di quell’unico bacio che si daranno nella sala da ballo, fra la folla, incuranti di ogni cosa.
Un addio senza speranza, il loro.
Gli anni passano, la sala da ballo diviene un ristorante, il protagonista invecchia ricordando testardo e triste il suo amore passato. Fino a che il Palomina riapre nuovamente e Will riprende a frequentarlo, cullandosi nel pensiero di quel viso amato fino a che la vita gli farà un dono inaspettato, sorprendente.
Ancora una volta sulle note di Always.
Francesca Faramondi ci regala nello spazio di poche righe, in un racconto ben costruito, emozioni struggenti, personaggi di grande intensità e drammaticità, un’ambientazione originale e suggestiva.


MENZIONE SPECIALE  AUTORE
Forte come la morte
Marco Bertoli







Ambientazione mitteleuropea, memorie d’Asburgo, citazioni classiche in questo bel racconto nel quale l’amore sembrerebbe tradursi in seduzione e intrigo, in uno strumento nelle mani abili di una bella spia austriaca, Margit. Intelligente, cinica, affascinante, un’autentica femme fatale al servizio dell’Impero Austroungarico. Pronta a tutto pur di carpire un segreto al nemico italiano, ex alleato.
Margit  è in grado di recitare con maestria e abilità il suo ruolo di seduttrice fra balli sontuosi e hotel di gran lusso, fino a che non incontrerà un avversario fin troppo degno di lei, il capitano del reggimento di cavalleria sabaudo Altiero Galeotti. Fascinoso, impeccabile, interessante, la protagonista se ne innamora perdutamente.
Un amore che le costerà la vita, perché nella partita con l’avvenente capitano, la cui dolcezza e giovinezza nascondono un’abilità e una freddezza insospettate e sorprendenti, la giovane e bella spia sarà sconfitta dalla forza di quel sentimento dirompente che non saprà dominare, al quale si abbandonerà completamente, descrivendolo nel suo diario, come la più tenera e romantica delle fanciulle innamorate.
Margit, vinta, scoperta, troverà la morte: sacrificio supremo in onore del paese che ha servito, scherzo beffardo dell’amore che non le è permesso di vivere.
Nell’ultimo istante di quella sua esistenza breve, azzardata e affascinante, avrà però accanto a sé l’uomo che ama e che della sua fine è causa e artefice: quel loro ultimo istante insieme diverrà eterno. Per entrambi.
Marco Bertoli propone una trama complessa, ben articolata e sviluppata, ricca di emozioni, disegnando protagonisti fascinosi e incisivi che si muovono in un atmosfera evocativa di grande impatto.






MENZIONE SPECIALE AUTRICE
Amare
Adelaide Melato






Un inno allamore per Leda, dolce e appassionata che sa amare le cose grandi e piccole che fanno parte della vita di ognuno. Leda ama il mare, gli alberi che vorrebbe abbracciare, la luna che immagina ruvida come una buccia darancio, i suoi libri
E ama soprattutto Luca, di un amore profondo, intenso e tenace che mitiga e supera il sarcasmo di lui, i suoi sbalzi dumore, il suo perenne sfuggire, il suo darsi quel tanto che basta. Fino a che la verità la colpisce come uno schiaffo e Leda si rende conto che il suo Luca non è nullaltro che una bugia, un simulacro bello e vuoto dietro al quale si nasconde qualcuno che lei non conosce e che l’abbandona, forse senza nemmeno un rimpianto.
E Leda sembra perdere quella sua bella e intensa capacità di amare fino a che, una sera, dinanzi al fuoco acceso, un semplice gesto, profondo ed eterno, le restituirà il suo mondo, quel suo dono prezioso che diverrà ancora più intenso.
Adelaide Melato con una scrittura lieve, garbata e accurata, sa coinvolgere nella vicenda che narra, toccando la sensibilità del lettore che si sentirà sempre vicino a Leda, ne seguirà con attenzione l’evoluzione da creatura piena d’amore a donna delusa proprio dal sentimento che tanto le appartiene ma che apprenderà che anche le ferite più profonde e laceranti possono guarire. Grazie all'infinito miracolo dell'amore.
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 Ecco quindi i racconti premiati 


racconto vincitore

Always

Francesca Faramondi


L’amavo e lei amava me, anche se non ce lo siamo mai detti; o almeno non come avrei voluto io.

Io sarei salito sui tetti degli edifici più alti per gridarlo a squarciagola al mondo, ma non si poteva. Eppure come gridavano le mie mani quando la sfioravano, i miei occhi quando si tuffavano nell’azzurro dei suoi, le mie labbra in quell’unico bacio rubato.

Clara era sposata.

Il suo matrimonio era finito da tempo, lo sapevano entrambi, ma il marito la costringeva a recitare una farsa per un distorto concetto di onore, rispetto e famiglia.

L’apparenza: ecco cosa contava per George.

Aveva perso il lavoro da anni, eppure tutte le mattine si vestiva con giacca e cravatta e si recava in un ufficio chiuso da tempo, tutto per far vedere ai vicini che lui non era un fallito e non lo sarebbe mai stato.

Andavano avanti grazie ai sussidi governativi, spesso non avevano niente da mangiare la sera, eppure George non vendeva quella sua stupida macchina, simbolo di qualcosa che non sarebbe più stato.

Clara aveva cominciato a lavorare per mettere un po’ di pane in tavola.

Lo faceva di nascosto da suo marito che, per il suo stupido orgoglio, non lo avrebbe mai permesso.

Faceva la ballerina al Palomina.

Per intenderci niente a che vedere con le ballerine di oggi, che si strusciano ad un palo mezze nude, sotto i riflettori e gli sguardi lascivi di uomini che allungano soldi nella speranza di possedere quei corpi senza anima.

Clara era una donna di classe.

Gli uomini pagavano dieci centesimi per un ballo con lei o con le altre ragazze, e l’incontro durava il tempo di un lento, un fox-trot o un boogy-woogy.

La prima volta che la vidi l’orchestra suonava “Always”.

Era bellissima.

Alta, bionda, gli occhi così azzurri da fare invidia al mare, Clara sembrava un angelo appena sceso dal cielo con lo sguardo confuso e stupito di chi non sa ancora bene cosa fare.

Entrò nella sala quasi in punta di piedi, ma irruppe violentemente nel mio cuore.

Non feci niente quella sera.

Rimasi seduto al mio tavolo a schiumare rabbia ogni volta che un uomo la stringeva a sé.

La sera seguente comprai tutto il suo carnet.

Ma non ballammo, non ballammo mai.

Parlammo, tanto, di tutto.

Era così facile parlare con lei, come se le nostre anime si fossero sempre conosciute e gli anni passati lontani non fossero stati altro che una continua ricerca dell’altro.

Le raccontai di mia sorella che se ne era andata di casa a quattordici anni e che non avevo più rivisto, di mia madre che era capace di sfamare un esercito con un pranzo per due persone, di mio padre a cui a malapena riuscivo a dire ciao.

Io al contrario di lei ero ricco. Avevo cominciato a guadagnare mentre tutti erano in crisi. Avevo più soldi di quanti sarei stato capace di spendere in tutta la mia vita, ma ero solo…terribilmente.

Avevo tutto eppure passavo le mie sere ad affogare la mia solitudine in un bicchiere d’alcool…almeno finché non avevo trovato un mare più bello in cui annegare, quello dei suoi occhi.

Lei mi raccontò di suo marito, di come lo odiava, di come detestava la sua falsità, di come si sentisse prigioniera della casa di bambole che George le aveva costruito intorno.

Clara era una donna forte, avrebbe potuto lasciare George in qualunque momento e lo avrebbe fatto se non ci fosse stato Bobby.

Aveva paura per suo figlio.

Le assicurai più volte che mi sarei preso cura di entrambi, che avrei voluto bene a Bobby come forse nemmeno suo padre gliene aveva mai voluto, ma lei ogni volta scuoteva il capo, bellissima nella sua dignità.

Poi accadde.

12 marzo 1938.

Non scorderò mai quella data.

Il nostro ultimo incontro.

Come al solito avevo comprato tutto il suo carnet.

Quella sera l’orchestra avrebbe suonato la nostra canzone ed ero deciso a ballare con lei.

Non appena la vidi capii subito cos’era successo.

Aveva gli occhi arrossati dal pianto.

Suo marito sapeva.

Si lasciò cadere sulla sedia con la fatalità di un condannato a morte.

Le strinsi la mano, poi la costrinsi a guardarmi.

Ciò che vidi mi strinse il cuore in una morsa.

“Parto” bisbigliò tra le lacrime.

Rimasi a bocca aperta, pietrificato.

Non sapevo che fare.

“Stupido” gridavo a me stesso “Prendila con te, portala via. Fuggite insieme. Forza Will che cavolo di uomo sei!”

Oh come avrei voluto e lo avrei fatto, ma lei scosse la testa come se mi avesse letto nel pensiero e mi sorrise appena, un sorriso triste che non le arrivò mai agli occhi.

Si alzò.

Non potevo farla andare via così.

La strinsi forte a me e la baciai.

Al diavolo gli sguardi degli altri, i bisbigli maligni, al diavolo tutti.

C’eravamo solo noi e quel bacio salato dalle nostre lacrime.

Avrei voluto rimanere così per sempre.

Quando si staccò da me le diedi il tagliando per “Always”.

“Stasera?” domandò con un groppo in gola.

Feci segno di no con il capo.

Non potevo, non volevo che la canzone del nostro incontro diventasse anche la canzone del nostro addio, non volevo trovarmi ad odiare quelle note che l’avevano portata a me.

Lei sorrise, poi scappò via.

Rimasi immobile finché non scomparve dalla mia vista, e dalla mia vita.

Nonostante mi rendessi conto dell’inutilità del mio gesto continuai a tornare ogni sera al Palomina.

Vi andai finché non chiuse e non venne trasformato in un ristorante.

E allora cominciai ad andare tutte le sere a quel ristorante.

Non riuscivo ad abbandonare quelle mura che profumavano ancora di lei.

Ora il Palomina è tornato ad essere una sala da ballo: si chiama Retrò.

È un locale per i nostalgici degli anni ’40 e ’50.

L’orchestra suona vecchie canzoni e le persone ballano lenti, fox-trot e boogy-woogy.

Il locale è frequentato da gente della mia età che si aggrappa ai ricordi di gioventù e da giovani curiosi.

Tutti mi conoscono.

Sono il vecchio strambo, dall’aria triste, che sta sempre seduto al solito tavolo e non balla mai.

“Signori e signore buonasera” esordisce il bassista “Stasera apriremo le danze con un lento. Abbracciatevi stretti sulle note di Always”.

Mi alzo.

Non voglio sentire questa canzone, non lo più sentita da 60 anni, l’ho evitata per anni.

Sto per andare via quando qualcuno mi sfiora.

Mi volto e rimango a bocca aperta.

È lei.

Nonostante i capelli bianchi, le rughe, l’espressione stanca di chi nella vita ha sofferto troppo.

Non posso sbagliare.

Sorrido.

“È ancora valido questo?” domanda tendendomi un tagliando mezzo cancellato dal tempo.

Faccio un segno con il capo e la stringo forte a me.

Il nostro ballo.

L’orchestra comincia a suonare.

Always…per sempre.

 

menzione speciale autore

Forte come la morte

Marco Bertoli



«Ma come del mattin la figlia, l'alma dalle dita di rose Aurora apparve»… I versi emersero nitidi nella mente di Margit, interrompendo la tempesta di pensieri che le artigliava furiosa l’animo. Rivide come fosse stato il giorno prima, ed erano passati anni, i tratti arcigni e severi del suo vecchio professore di Latino e Greco addolciti da una reale commozione. Nell’aula provvisoria della neonata Sezione “Ginnasiale–tecnica” del Liceo Ginnasio “Dante Alighieri” di Trieste, gli occhi color ghiaccio di quell’uomo solitamente austero e privo di manifeste emozioni si scioglievano senza pudore nel declamare con enfasi gli esametri di Omero che narravano dell’amore tra Calipso e Ulisse.

L’algido chiarore che in quel momento si affacciava incerto dalla minuscola feritoia della cella non le offrì, però, il conforto misericordioso di una qualche tonalità rosea o calda: era una luce cruda, grigia e livida come il suo bel volto di giovane donna seduta rigida e composta sul bordo della scomoda branda di legno. A venticinque anni è difficile, quasi una bestemmia contro natura, accettare l’idea che quello cui si sta assistendo è il sorgere dell’ultima alba che ci sarà concesso di vedere. Eppure, da lì a poco, sarebbero venuti a prenderla e la sua breve vita avrebbe valicato gli abissi del nulla. Un brivido le zampettò maligno lungo la schiena.

Figlia di genitori giuliani nelle cui vene, però, scorreva profonda un’incrollabile fede asburgica, Margit aveva accolto con l’entusiasmo della gioventù la proposta di servire Sua Altezza, l’Imperatore Francesco Giuseppe, come Agente nei Servizi Segreti, qualifica altisonante per definire il subdolo e spregiato mestiere di spia. Pur nella piena consapevolezza che una corda stretta al collo, una pallottola nel petto o una pugnalata nella schiena sarebbero state il suo destino più probabile, tuttavia non aveva esitato nella scelta, convinta di agire per il bene della Patria. Nulla di più romantico, poi, del morire come una delle eroine dei suoi romanzi preferiti o dell’epica antica!

Anche adesso, infatti, in quella trepida attesa della fine, non era la certezza della morte a macerarla e straziare il suo intimo nell’angoscia, bensì il tragico pensiero che il nemico che l’aveva scoperta era stato proprio l’uomo di cui si era innamorata a prima vista.

Nell’immenso e scintillante salone da ballo, un folle tripudio di specchi barocchi e lampadari di fine cristallo, in mezzo allo sbocciare di sontuosi abiti da sera di lucido raso e di uniformi di gala dalle innumerevoli fogge, corolle variopinte intrecciate nelle complesse armonie delle danze, quell’ufficiale di cavalleria dall’aria timida e trasognata, le maniere affette da una leggera goffaggine, spiccava come un alto girasole arancione in un verde prato di bianche margherite e papaveri rossi.

Il cervello aveva subito suggerito a Margit che quell’uomo che cercava di mimetizzarsi in un angolo sarebbe stato la vittima ideale per raccogliere le informazioni di cui aveva estremo bisogno l’Alto Comando Austriaco per stilare i piani operativi della Strafexpedition, la “Spedizione punitiva” destinata a vendicare il tradimento dell’ex’alleato.

Il suo cuore, al contrario, era trasalito ebbro di speranza, folle di gioia come l’assetato in vista dell’oasi, strappandole un gemito di fisica disperazione nel rammentarle: «Somiglia agli dei che hanno dimora nel cielo infinito. Oh, se potesse un uomo così essere detto mio sposo».

In un respiro, lo spirito aveva compreso che era l’Amore.

Di quella sera aveva annotato nel diario dell’anima ogni particolare, miniandolo con scrupolo certosino: dal primo approccio “fortuito” al buffet al tiepido bacio tremante che, immersi nell’oscurità complice del parco della villa, era stata quasi costretta a rubare alla ritrosa inesperienza del suo cavaliere.

Il capitano del 3° Reggimento “Savoia Cavalleria” Altiero Galeotti si guardò allo specchio un’ultima volta, controllando che i bottoni metallici della divisa fossero allineati perfettamente. Il riflesso impassibile gli restituì, oltre a un’uniforme impeccabile, l’immagine seria di un giovanotto di ventotto anni, il fisico temprato dall’esercizio all’aria aperta, l’aspetto piacevole, l’espressione ingenua del cucciolo che ispira tenerezza. Dietro la maschera da innocuo micino, tuttavia, si nascondeva ben altro: un leopardo astuto e vigile, pronto ad azzannare la preda troppo incauta. Sistemando una decorazione verde già esattamente allineata alle altre, pensò agli occhi da gazzella della sua ultima vittima, una giovane spia austriaca che, ostentando un trasporto amoroso nei suoi confronti, l’aveva avvicinato per cercare di carpire preziosi segreti militari.

Gli scorsero davanti agli occhi balli spensierati, cene romantiche, passeggiate al chiaro di luna, intanto che nelle orecchie si dipanava una sinfonia di risate tintinnanti come gioielli di ghiaccio, di veementi frasi di amore e di sospiri rauchi appassionati prima che lui la addentasse alla gola. Un altro successo nella sua fulgida carriera.

Scosse deciso la testa come aveva fatto il colonnello De Amicis quando gli aveva chiesto di poter comandare il plotone d’esecuzione.

Margit lo rivide quando, scortata da due silenziosi soldati e seguita dal cappellano che mormorava giaculatorie di suffragio, uscì nel cortile della fortezza. Ebbe un sussulto nel petto: com’era bello!

La schiena dritta, inespressiva come un automa, si lasciò condurre docilmente di fronte al muro che segnava il termine della sua esistenza. Chinò la testa ricevendo l’ultima benedizione e respinse con un lieve cenno della fronte la benda che una delle guardie le porgeva con ruvida galanteria. Guardò dritta davanti a sé i dodici soldati e il sergente alla loro sinistra, immobili a nemmeno dieci metri di distanza, i fucili a pied’arma. Non si accorse del mormorio inquieto tra i militi e del viso stralunato del sottufficiale: le parvero figure indistinte, un’unica macchia verdastra.

Il capitano Galeotti si avvicinò a passi lenti, fermandosi al suo fianco. Uno sguardo rapido come il fulmine, dapprima stupito, poi immenso quanto l’eternità, li congiunse.



«Plotone, Attenti!... Plotone, Bracc’arm!». La voce di Altiero risuonò secca nel silenzio dell’alba mentre sguainava la spada e si metteva in posizione di saluto.

«Plotone, Puntate!... Mirate!».

Margit chiuse le palpebre. Sospirò. Il momento era giunto.

Sentì una mano ferma e calda stringere la sua, più gelida della neve. Non le importò più di morire.

«Fuoco!».

…perché forte come la morte è l’amore.



menzione speciale autrice


Amare

Adelaide Melato


Leda amava.

Fin da piccola, quando dalla culla bianca guardava le nuvole dipinte sul soffitto, amava il cielo. Amava la luna. Aspettava di diventare abbastanza grande e abbastanza alta da poterla accarezzare e scoprire quale fosse la sua consistenza. La immaginava ruvida, come un’arancia.

Amava i fiori e il profumo della terra subito dopo la pioggia. Amava il bosco poco distante da casa. Amava il suo albero, un abete. Stirava le braccia più che poteva. Avrebbe voluto racchiuderlo in un suo abbraccio, riscaldare la corteccia fredda e fargli sentire che lei c’era, ma non riusciva neppure a far sfiorare le dita.

Amava studiare.

Amava il vestito indossato per il suo primo colloquio di lavoro dopo la laurea, quello andato male.

Amava i suoi libri. Il loro profumo, i dettagli delle rilegature. Si chiedeva come delle pagine così sottili e leggere, riuscissero a contenere tutte quelle emozioni.

Amava la musica e le canzoni che descrivono perfettamente le tue emozioni, quelle che quando finiscono le rimetti da capo, ancora e ancora.

Amava scrivere. Guardava il mondo con gli occhi dei suoi personaggi, essere se stessa la imbarazzava.

Amava i pasticcini alla crema e il tè nero.

Leda amava lui.

La sua voce.

Amava quando appena sveglio, con i capelli scompigliati e l’aria assonnata si sedeva al tavolo della cucina e aspettava il suo caffè ristretto senza nessun ‘buongiorno’. Gli servivano almeno venti minuti per farsi strada tra i pensieri confusi e i ricordi del giorno precedente.

Amava sentirsi al sicuro avvolta tra le sue braccia.

Amava ascoltarlo. Le parole fuoriuscivano in ordine dalle sue labbra. Le raccontava di lui e del suo passato con quella voce bassa e roca che Leda amava tanto.

Una volta aveva pianto, parlandole della sua infanzia. Leda lo aveva stretto a se accarezzandogli i capelli finché non smise. La faceva sentire importante. Come un illusionista, giocava con le immagini e le faceva credere di essere diversa.



« Non capisco perché...» le aveva detto una sera guardandola.

« Perché cosa? » Leda aveva chiuso il libro e si era seduta di fianco a lui. Gli spostò i capelli dalla fronte e gli accarezzò la guancia. Lui chiuse gli occhi, e si appoggiò contro il palmo.

« Non capisco perché distruggo tutto quello che costruisco»



Leda lo amava. Era perdutamente innamorata dell’uomo che le aveva insegnato ad odiare.



Luca esisteva.

Esisteva e basta.

Guardava la vita scivolargli addosso, immobile. Aveva conosciuto il dolore e gli si era arreso.

Senza combattere.

Luca mentiva.

Viveva nelle sue maschere, nelle sue bugie, fino ad ingannare se stesso. Aveva raso al suolo il confine tra verità e menzogna. Leda cercava invano di ricostruirlo. Non lo ascoltava più, stava a sentire ciò che aveva da dirle chiedendosi quante erano le bugie celate, da quella voce così bella.

Luca aveva cambiato la sua storia aggiungendo dettagli, inserendo persone, parole, emozioni mai esistite. Il suo passato era rimasto sepolto sotto le parole, dove nessuno avrebbe mai potuto recuperarlo. Nemmeno lui.

I bugiardi perdono i loro ricordi e se senza che tu te ne accorga, si prendono i tuoi.

Luca non amava se stesso.

Cercava negli occhi degli altri, un riflesso migliore di sé.

Aveva visto amore negli occhi di Leda. Ma lui voleva sempre di più, allora mentiva.

Erano così belle le sue bugie, tanto da sembrare favole. Tanto da sembrare vere.

Luca non soffriva.

Servo del dolore, sapeva che quando tutto crollava doveva cercare un posto nuovo in cui creare qualcosa di bello da distruggere.

Leda era rimasta sola tra le macerie della sua vita, mentre il freddo le gelava le ossa.

Le bugie sono come i tasselli del domino. Basta smuoverne uno per far cadere tutti gli altri.

Leda amava Luca.

Lo aveva amato dal primo momento, nonostante fosse irascibile, arrogante, saccente.

Per la sua intelligenza, il suo sarcasmo.

Lo amava perché non passeggiava, senza i suoi pantaloni mimetici.

Lo amava perché si offendeva, se non le piaceva ciò che aveva cucinato.

Lo amava perché non la lasciava mai vincere, quando giocavano a carte.

Leda amava Luca. Ma Luca non esisteva.

L’uomo di cui si era perdutamente innamorata era una bugia, e colui che le stava davanti ne era solo l’involucro vuoto.

Era alto come lui, magro come lui, con gli stessi occhi e la barba incolta, ma non era il suo Luca.

Non avrebbe mai saputo quale fosse la consistenza della sua anima, ma la immaginava ruvida come un’arancia, come la luna, che anche da grande e anche se alta, non era mai riuscita a toccare.



Pianse, sui cocci di ciò che lui andandosene aveva distrutto.

Non ne parlava con nessuno, non sapeva che cosa dire.



A natale le strade prendono vita come per magia.

Le luci si riflettono sulle vetrine e la neve si accumula sulle panchine e sui bordi dei marciapiedi. Le persone sorridono e si abbracciano più spesso.

Leda camminava accanto alle vetrine senza guardarle.

Uscire era stata una pessima idea. Rischiava di inciampare, di scoppiare in lacrime, di incontrare qualcuno che gli somigliasse.

Sentì qualcosa di freddo caderle sul naso. Si fermò e alzò lo sguardo.

La neve le andava incontro lentamente, volteggiando leggera.

Leda si voltò.

Al di là del vetro, una culla ricoperta da un velo bianco.

Era così grande e così forte il suo dolore che avrebbe potuto viverci dentro. Ma non aveva tempo. 
 




Quella sera, seduta di fronte al camino spento con le braccia avvolte intorno alla pancia, capì.

Leda amava.

Amava la sabbia, il profumo della cannella e del caramello. Il blu, i piumoni e i quadri impressionisti.



Leda odiava.

Odiava le bugie. Odiava le favole.

Ma non importava, ciò che lei amava e odiava non importava più.

Non importava chi fosse Luca. Non importava quanto avesse sofferto né quanto l’avesse amato.

Niente importava.

Sorrise accovacciandosi.

Poggiò una mano sul pancione e lo accarezzò.

Leda amava sua figlia.

Era perdutamente innamorata della loro bambina. L’unica verità.

«C’era una volta…» le bisbigliò.

___________
Ecco l'elenco completo dei partecipanti
 
"Always" di Francesca Faramondi
"Amare" di Adelaide Melato
"Amore a prima vista" di Arianna Berna
"Cristian e Isabela" di Antonio Borghesi
"Dillo alla luna" di Daiela Zampolli
"Donne e motori" di Giovanna Avignoni
"Forte come la morte" di Marco Bertoli
"Giorni Perduti" di Annalisa Rizzi
"Il basco grigio" di Matteo Iacobucci
"Il bivio"  di Isabella Gravina
"Il cuore lo sa prima" di Paola Trevi
"La morte di Rigena" di Demetra Efthymiou Raposa
"La piuma del Destino" di Paola Paudice
"L'amore involontario" di Barbara Comeles
"L'ultimo chiaro di luna" di Daniele Imbornone 
"Naufragio" di Violaliena
"Rewind" di Carla Monaldi
"Rose Rosse" di Pasqualina D'Ambrosio
"Scheggia" di Valerio Vozza
"Un volto dal passato" di Bianca Fasano
"Una storia da raccontare" di Diego Zucca
"Una storia d'autunno tra due città" di Eufemia Griffo
"Violante e Aldebrando" di Alessandro De Soller


 

6 commenti:

  1. Grazie di cuore al team di Magla per l'opportunità che mi ha offerto. L'esperienza è stat interessante e utile, il livello dei racconti notevole. I miei complimenti agli autori!

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  2. Complimenti a tutti e tre e a Laura Bassuti! Tra l'altro ho appena appena finito il romanzo l'Avvoltoio di Bertoli, che mi è piaciuto molto. Mi fa quindi piacere vedere la menzione d'onore ;)

    Alessandra\Ginny

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    1. Ringrazio di cuore per l'opportunità che mi e' stata data e per la toccante motivazione che mi ha commosso. Complimenti anche alle altre autrici!!! Grazie anche Ginevra Wilde per avere apprezzato il mio romanzo: ne sono veramente felice!
      Marco Bertoli

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  3. Appena tornata da scuola, ho trovato questo bellissimo regalo.

    Correndo il rischio di sembrare banale, ringrazio tutti di cuore.
    Grazie al team per l'opportunità, e Laura Bassutti per il bellissimo commento.

    Complimenti anche a Marco e Francesca.

    Grazie ancora.

    Adelaide.

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  4. I tre che ho letto sono veramente molto belli con una prosa romantica fantastica. Bravissima la vincitrice ma anche il secondo e la terza di grande livello. Complimenti. E gli altri...dove si possono leggere?

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  5. Grazie a tutti voi per i complimenti. A Subacqueo itinerante rispondo che: solo i racconti vincitori vengono pubblicati, gli altri - almeno per il momento - non è possibile leggerli on line. Ma stiamo valutando soluzioni alternative... ;-P

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