La
targhetta di ottone con inciso il numero della stanza brilla
invitante, una promessa di lussuriose delizie.
Il cameriere del
Marvellous Hotel mi gratifica di un sorriso complice che non
sfigurerebbe nella pubblicità di una marca di dentifricio: il genere
di accoglienza riservato ai clienti abituali. Nel chiudermi la porta
alle spalle, lo ricompenso con una mancia più abbondante del solito.
Dopotutto, credo che questa sia l’ultima volta che mi vedrà.
Ho deciso,
infatti, che è opportuno cambiare aria. Se è vero che la vita è
una giungla, allora ci sono troppe belve affamate in giro: più
salutare frapporre un oceano di distanza tra me e loro. Non sono
quello che si definisce un cuor di leone, piuttosto una biscia che sa
quando è il momento di strisciare via in silenzio.
Prima, però, devo
salutare una persona. È un rischio bello grosso, lo riconosco,
tuttavia uno stupido scrupolo da antico gentiluomo mi ha impedito di
dileguarmi senza un addio.
Mi guardo attorno,
esaminando con cura l’ambiente di cui potrei descrivere a occhi
chiusi ogni particolare tanto lo conosco bene.
Il letto, grande e
soffice, è pronto a trasformarsi in un sensuale campo di battaglia
tra due corpi che cercano di sfuggire all’amara disperazione che li
avvelena in fondo all’animo.
Sul comodino di
sinistra, una scatola di cioccolatini fondenti della sua marca
preferita.
Sul comò, il
dozzinale vaso cinese da cui trabocca un mazzo di rose cremisi: il
loro profumo satura l’ambiente di erotismo.
Unica nota
stonata, il quadro che raffigura una marina sferzata dalla tempesta.
La cornice è leggermente storta, un nonnulla che però disturba la
mia ossessione per la simmetria.
Serro la mandibola
e resisto all’impulso di sistemarla: è così dalla prima volta che
sono entrato in questa stanza...
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