La cucina del Mancio puzza di frittata
di cipolle e di sudore. Il mio.
L’uomo chiude l’anta in lamiera
bianca del mobiletto e posa sulla tovaglia a quadri una pistola
luccicante.
-Questa è per te, Bimbo-.
Odio essere chiamato “Bimbo” ma il
Mancio è un duro, non è il caso di contraddirlo. L’arma è a meno
di trenta centimetri dalla mia mano. Posso farcela. Non devono vedere
quanto tremo.
Il Rosso e il Dieci mi osservano. Con
un movimento più rapido possibile la afferro e la metto in tasca.
-Ehi- dice il Dieci –sei nervoso,
pivellino?-. A quello non la si fa, dieci anni a San Vittore, ecco il
motivo del suo soprannome, e lì dentro si impara a capire la gente.
-Chi, io? No, no- rispondo sperando che
la voce tremolante non si noti troppo.
-Va bene, allora andiamo- taglia corto
il Mancio.
E’ la prima volta che rapino una
villa. Devo convincermi che tutto andrà bene e devo convincere i
miei complici che a diciassette anni sono abbastanza grande per
lavorare con loro.
La macchina si avvicina lentamente al
cancello. Le luci del giardino sono fioche e tetre. Vorrei tornare
indietro, lo vorrei con tutte le mie forze ma non posso. Il
passamontagna di lana nera scorre a fatica sul mio viso. In casa non
dovrebbe esserci nessuno, almeno così ha detto il Mancio e lui fa il
lavoro da trent’anni. Ma potrebbero esserci telecamere, meglio non
farsi riconoscere.
Nessun commento:
Posta un commento