«Non puoi andare avanti
così, sembra che stanotte tu abbia avuto un diverbio con Mike
Tyson».
Il naso di Arianna
penzolava ad una pericolosa distanza dalla tazza del latte; ancora un
lieve cedimento del collo e vi sarebbe affondato del tutto.
«È lo stress, sai, il
superlavoro…».
«Proprio per questo devi
dormire, dovresti provare…».
«Cosa? dimmi cosa dovrei
provare che non abbia già provato – scattò lei – forse dovrei
davvero avere un diverbio con Mike Tyson, mi sferrerebbe un uppercut
e mi spedirebbe nel mondo dei sogni, almeno dormirei un po’».
Spinse in fuori le labbra, come per dire altro, ma si trattene.
Era troppo stanca per
litigare ed anche per scusarsi. Ma non abbastanza da dormire.
«Cosa ne dici?»
Arianna guardò il
depliant che il suo capo le aveva messo sotto gli occhi.
Mostrava una di quelle
ville che sembrano il modello per una casa di bambole. Mura color
pastello occhieggiavano tra jacarande in fiore e, intorno, prati
verdeggianti promettevano passeggiate di velluto.
La scritta sotto la foto,
in caratteri vagamente liberty, diceva semplicemente: “La casa
della buona notte – centro medicina del sonno”.
«Dico che non me lo
posso permettere» rispose lei.
L’uomo allargò il
sorriso fino a far scintillare le otturazioni dei premolari.
«No che non puoi. Non
più di quanto tu possa permetterti di essere licenziata. Che è
esattamente quello che accadrà se ti becco un’altra volta a
dormire».
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