C’era
un tempo dove per poter parlare a distanza bisognava per forza di cose spedire
missive. Si stava chini su di un foglio bianco, la piuma stretta in mano, a
vergare parole con l’inchiostro nero. Affidare quelle stesse parole a un
pennuto essere chiamato piccione e pregare che tale pennuto non finisse preda
di qualche freccia o di animali più grandi e feroci. Oggi è molto più semplice.
Ci si siede comodi in poltrona, il nuovo modello di portatile in precario
equilibrio tra il ventre prominente e le ginocchia ossute e si avvia il
browser. In pochi secondi si viene catapultati in un universo alieno composto
di dati e numeri, codici su codici che ci permettono di navigare in acque che
spesso risultano affascinanti e torbide. Navigando, navigando e navigando sentendosi
come i più grandi navigatori della storia, pionieri 2.0 che non sono mai sazi e
navigano e navigano e navigano in cerca di novità. Ma qui si stava parlando di
comunicazione, di messaggi, di piccioni che tra una cagata e l’altra portano
lettere dal punto A al punto B. E quindi torniamo a parlare di questo, della
comunicazione tra gli individui e dei nuovi modelli di piccioni: i social
network. (...)
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