E’ l’ora di morire
Maria Teresa Frassetti
Non
voleva svegliarsi. Il suo istinto di autoconservazione le suggeriva
che sarebbe stato meglio rimanere in quella condizione anestetizzante
di precario torpore. L'agitazione cresceva dentro di lei ad onde
progressive, come se stesse per annegare e cercasse inutilmente di
risalire in superficie. Aprì gli occhi di scatto. Tutto intorno era
buio. Un dolore lancinante al braccio destro indusse Greta ad
alzarsi, ma il movimento fisico non riuscì a diminuirne la potenza
devastante.
Si
tastò la pelle dove avvertiva la presenza della ferita e si bagnò
le dita. Sangue. Le arrivava distintamente anche il suo odore
penetrante. Ferite abbastanza profonde, anche se non letali, le
ricoprivano tutto il corpo, le gambe, le braccia e perfino il viso.
Doveva essere sfigurata. Sempre più invasa da una paura
agghiacciante, si toccò il naso, ridotto ad una poltiglia
indistinta, poi gli squarci non rimarginati sulla fronte. Cominciò a
camminare procedendo a tentoni, ma dopo pochi passi si scontrò con
una parete gelida. La speranza le mancò del tutto quando si rese
conto di essere rinchiusa in quella stanza senza finestre all'interno
della quale non c'era nulla, neanche un materasso per sdraiarsi. Non
aveva catene ai piedi e non era ammanettata, ma quella prigionia
claustrofobica era peggio di qualunque tortura. Si accasciò
disperata, cominciando a urlare e a tempestare la porta di pugni.
Nessun commento:
Posta un commento