I figli
degli spiriti
Marina
Paolucci
Runa abitava in paese da
poco. Era arrivata in un giorno di marzo, con il vento ancora pregno
di aliti gelidi dell’inverno. Portava al seguito cinque figli senza
avere un uomo accanto. Destava curiosità, pena, pettegolezzi.
L’invidia è una bestia villana che vomita parole.
Don Mario le offrì un
lavoro part time, il mattino, alla segreteria della parrocchia. Erano
coetanei, inevitabilmente levitarono maldicenze. I muri della chiesa
ne udirono di tutti i colori, trattenendoli in silente compostezza.
Le diede altresì ospitalità nei locali della sacrestia. Poi, si
prodigò per assegnarle la casa dismessa in fondo al campo di
pannocchie, vicina a una fattoria.
Runa si sistemò con la
famigliola. Conobbe Libero, il fattore della porta accanto, poco più
giovane di lei. Un giorno, rientrando dal lavoro, lo trovò fuori
dall’uscio.
— Buongiorno Libero!
Siete qui per curiosare? Sono logorata dai pettegolezzi sul mio
conto. Se proprio volete saperlo, le mie creature sono figli degli
spiriti.
— Accidenti, che scoop!
Io dico che siete una brava mamma. Vi manca soltanto un uomo accanto.
— Grazie Libero. Sono
un’anima libera, con un uomo mi sentirei prigioniera. Possiamo
darci del tu?
— Con piacere.
Runa lo invitò per un
caffè. Sfilò dal polso un elastico rosso e legò i capelli lunghi,
lisci e neri, in un’alta coda. Cominciò a cucinare per i figli in
arrivo. In casa si sprigionò un delizioso profumo di caffè tostato,
misto al sapore acre del soffritto di cipolla.
Libero la mangiava con
gli occhi, le piaceva. Le sue parole l’avevano appena colpito come
un pugno al cuore. Come poteva rinunciare a lei?
— Mamma, che fame! Ciao
Libero! — esclamò Sofia entrando.
In coro salutarono anche
Pietro, Isabella, Rosa, Ivano. Lanciarono a terra gli zaini colorati.
— Runa io vado. Mi
raccomando, la sera chiudi la porta di casa.
— Non temo nulla. Non
chiudo mai la porta a chiave. Se i padri dei miei figli vengono a
trovarli possono entrare liberamente.
— OK. Fai un’eccezione
almeno sabato sera, è La Notte Nera.
— Uuuuhhhh! Che paura
mammina! – urlò Ivano. Scosse Rosa prendendola per le spalle,
facendola strillare.
— Lo farò se mi
ricordo. Sabato i ragazzi partono con gli scout, stanno via il
weekend. Sono a casa da sola, tu che fai?
— Suono con la band
alla festa del paese.
— Curioso! Magari passo
a sentirvi.
Libero si congedò
dall’allegra ciurma.
I ragazzi pranzarono
allegramente, raccontarono della mattina a scuola. Nel pomeriggio
fecero i compiti. Venne presto la sera e il giorno finì tuffato nei
sogni.
L’indomani fu un giorno
tranquillo, Runa preparò gli zaini con i figli. Il sabato mattina li
accompagnò davanti alla chiesa, al pullman. Partirono.
Lei si fermò dal
panettiere. Comprò il pane poi rincasò, il sabato non lavorava.
Notò la porta di casa socchiusa.
— C’è qualcuno? –
gridò.
Uscì Libero con il
sorriso stampato sulle labbra carnose.
— Ciao Runa. Memore
della tua porta sempre aperta, sono entrato. Pensavo di trovarti.
Stasera darò buca al gruppo. Ti va di cenare insieme?
— Volentieri. Ti
aspetto alle venti.
Libero si ritirò felice.
Tornò all’ora stabilita, puntuale, con un mazzo di girasoli misto
a lavanda, un cestino contenente delle uova, un salame e un pollo
nostrano. Runa apprezzò ogni gentilezza, visibilmente sorpresa.
La tavola era
apparecchiata, il cibo era cotto, mancava soltanto il vino. Runa
lasciò il suo ospite in soggiorno e andò a prendere una bottiglia
in cantina. Lui la seguì. Nel seminterrato, la afferrò per un
braccio e la attirò a sé. La baciò con ardore. Colti da
un’inaudita passione, i due fecero l’amore.
Runa si ricompose e si
scusò per essersi lasciata andare. Salì la scala. Al piano, si
accorse che Libero era rimasto in cantina. Andò a vedere. Lo vide
armeggiare con un secchio, la cantina era inspiegabilmente allagata.
Fu colta da un vigoroso tanfo di benzina. Prima che potesse
realizzare, lui la colpì con una bottiglia, salì la scala e chiuse
a chiave la porta.
— Ti prego, apri la
porta! – piagnucolò Runa.
Senza pietà, Libero
appiccò un tizzone e andò in paese a sentire gli amici suonare.
Incipit scorrevole e dinamico, rende curiosi sullo svolgimento degli eventi.
RispondiEliminaGrazie, Giuliana Ricci, per avere letto il mio incipit e per il commento!
RispondiEliminaIl finale ha il suo perché... Non si può svelare! :-)
Grazie, Giuliana Ricci, per avere letto il mio incipit e per il commento!
EliminaIl finale ha il suo perché... Non si può svelare! :-)
Marina Paolucci
"L’invidia è una bestia villana che vomita parole."
RispondiEliminaBellissima immagine, Marina. In bocca al lupo :)
Valeria Barbera