STIRPE
DI MORTE
Miriam
Palombi
Suolo
consacrato.
Quella
terra nera e grassa era stata nutrita per secoli da corpi sepolti in
grazia di Dio, ora non appartenevano più a nessuno.
Si
trascinò tra le lapidi antiche, come una sorta di ombra.
La
sua magrezza era morbosa, la sua andatura malferma a causa di una
deformità evidente. La pelle scura era tesa, ogni parte del suo
cranio ossuto spiccava con orribile nitidezza, gli occhi,
profondamente incassati lasciavano scorgere solo orbite vuote.
Cercava
una tomba.
Toccare
la fredda pietra gli provocò un brivido lascivo, mentre immagini si
proiettarono nella sua mente come lampi nel cielo.
Quando
vide la pietra grezza, senza incisione, seppe in ogni caso di essere
arrivato.
Corpo
secco che aveva perso vigore lentamente, poteva ancora sentire le sue
carni consumarsi di una fame nera. Era stato sepolto vivo. Era lui
che stava cercando.
S’inginocchiò
al suolo, prese una manciata di terra e l’avvicinò al viso, odore
acre, odore di cimitero. Iniziò a scavare usando le sole mani,
finché le sue unghie annerite non iniziarono a sanguinare. Dopo poco
l’intera bara era stata riportata alla luce. I chiodi arrugginiti
non opposero resistenza e il legno marcio si sbriciolò come
segatura. Quando ebbe scoperchiato la tomba, vide quello che restava
di un uomo incredibilmente alto.
Senza
la minima esitazione affondò le mani tra le pieghe di stoffa logora.
Il corpo aveva subito una sorta di mummificazione, la pelle
grigiastra ricopriva le ossa spigolose mentre le dita sembravano
contratte in un gesto di difesa. Frugò ovunque senza trovare nulla.
Poi,
centinaia d’insetti e larve biancastre uscirono dalla bocca
spalancata del cadavere che sembrava in procinto di urlare. Gli
scivolarono tra le dita, eccitati da quell’inatteso contatto con
della carne viva.
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