Six
Stars
Il
medico era stato tanto chiaro quanto disarmante. Sarebbe stata
questione di due o tre giorni al massimo.
Laura
affondò con amore i suoi occhi dentro quelli smarriti del marito.
-Devi
andartene, Zach – gli disse dolcemente, accarezzandogli la mano
tormentata dalla flebo.
Lo
psicologo, messo a disposizione dalla clinica, li aveva appena
lasciati. Quello era stato l’ultimo incontro. Tutte prestazioni
incluse nel costosissimo pacchetto assicurativo Six Stars che avevano
stipulato anni prima per l’intera famiglia.
-Non
avrai più forze dopo, devi farlo ora – aggiunse il loro figlio
maggiore, Selim.
La
piccola Helena, che sembrava giocare indifferente con il tablet del
fratello ai piedi del letto, esplose in uno squillante: - Io vengo
con te, papà!- .
-Andiamo
a prendere un succo per papà, Hely? E anche per te, mamma e me –
fece Selim, attirando la sorella fuori dalla stanza.
-
Ti perderebbe comunque, lo sai – disse Laura con delicatezza al
marito, appena i figli si furono allontanati.
-Lo
so- rispose Zach, con un soffio di voce – lo so -.
Alla
presenza della moglie, dell’Ispettore della Compagnia di
Assicurazioni, dell’Ufficiale doganale e dello staff medico, il
trapasso avvenne la prima notte di luna nuova del mese.
Trasportato
da un potente gravitone, Zach saltò nell’universo parallelo più
vicino, senza aver avuto modo di sapere prima da quale altro mondo
sarebbe stato attirato.
Si
abbandonò alla forza di gravità e presto, prestissimo, si trovò
riverso su una spiaggia. Cercò subito di alzarsi. Nel vecchio mondo
la malattia lo aveva divorato al punto di immobilizzarlo in un letto.
Invece i muscoli risposero e si ritrovò in piedi, ben piantato sulle
gambe.
In
quell’universo qualcosa gli era andato diversamente, per fortuna.
Mentre
si diceva quello, gli prese la nostalgia dei suoi, voleva
riabbracciarli prima possibile.
Lasciò
la spiaggia e cercò con gli occhi un taxi, affondando le mani nelle
tasche alla ricerca del cellulare. Ne estrasse una specie di
smartphone che aveva tutta l’aria di andare ad energia solare.
Frugò la rubrica.
Non
lesse nessun nome familiare, passò allora ai messaggi e poi alle
ultime chiamate fatte e ricevute. Nessun cuoricino da sua figlia,
nessuna lista spese da parte di sua moglie, nessun comunicato
telegrafico di suo figlio.
Eppure
sapeva che come esisteva lui in quel mondo parallelo, dovevano
esserci anche loro. Erano le poche certezze che la scienza gli aveva
potuto garantire.
Dalle
tasche aveva recuperato anche un portafoglio, senza carte di credito,
senza foto, con dentro solamente un paio di banconote di piccolo
taglio e la patente.
Camminando
verso casa, gli sembrò di riconoscere suo figlio. Corse, esaltato
dalla piacevole sensazione di poterlo fare, attraversò la strada e
lo pinzò per un braccio.
Il
ragazzo si voltò scocciato e Zach esclamò: - Ma che hai fatto!?-.
Il
volto del giovane era deturpato dall’acne e dai piercing, lo
sguardo dalle canne o da qualcosa di simile.
-Ma
che cazzo vuoi- fece il ragazzo, incerto sulle gambe.
-
Sono tuo padre, Selim. Non mi riconosci?-
-
Mai avuto un padre, levati dai coglioni- sentenziò, scansandolo con
difficoltà.
-Tua
madre, tua sorella, dove sono? Ti prego - insisté Zach, disperato.
-L’ultima
volta che l’ho vista, mia sorella, aveva sei mesi – rispose acido
–l’hanno data in adozione a una famiglia perfetta. Per-fet-ta,
capisci? Non come la mia! -.
Zach
sudava freddo, ormai: -E tua madre? Dimmi di tua madre - .
-Ma
sì certo, ora ti riconosco, sei davvero mio padre - disse,
scrutandolo con disprezzo con gli occhi grigi e vuoti – Ti hanno
fatto già uscire? Sgancia qualche centone per tutti i miei
compleanni che non c’eri, stronzo -.
Si
allontanò disgustato ma Zach lo seguì: - Ti prego Selim, devo
sapere, dimmi dov’è tua madre -.
Il
giovane si fermò: - Non ti ricordi proprio? Non ricordi più cosa le
hai fatto?-.
Zach
era sconvolto, cosa mai poteva aver fatto a sua moglie?
–Vieni
– gli disse Selim – tanto prima o poi avrei dovuto tornarci -.
S’infilarono
nella metro e riemersero in una zona periferica, abbastanza verde.
Entrarono in un istituto, percorrendo corridoi tutti uguali.
Eccola,
l’aveva vista. Laura era seduta su una sedia a rotelle, davanti a
una finestra.
-Ciao,
mamma – fece Selim. Lei non mosse un muscolo, né si interessò
dell’uomo che lo accompagnava.
-Cos’ha?
Cosa le è successo?- fece Zach, accarezzandole d’impulso i
capelli.
-
Tu le sei successo, non ricordi, papà? -
Zach
non capiva.
-L’ultimo
volta che l’hai picchiata, papà- spiegò con stizza, poi rimase
in silenzio un attimo, stupito che il padre mantenesse
quell’espressione ignara – l’ultima volta che ti ho visto
ubriaco, papà, l’hai scaraventata giù per le scale. Si è
spezzata la schiena, ecco cosa le è successo. E’ stata in coma per
più di due anni e quando si è risvegliata…-.
Zach
era inorridito. Selim continuava a parlare, vomitandogli addosso
tutto lo sconforto che aveva dovuto provare in quel periodo. A undici
anni, con il padre condannato a cinque anni di carcere non gli era
rimasto che finire in una casa famiglia.
Zach
cominciò a ricordare i particolari di quella vita non sua mentre gli
si sbiadiva nella mente l’altra. La moglie che rotolava per le
scale, la polizia, il pianto irrefrenabile della piccola Helena in
braccio al fratello e lui, ubriaco fradicio. Con sgomento, si rese
conto che non riusciva più a ricordare Helena nel suo primo giorno
di scuola, i suoi primi passi, i suoi saggi di danza.
La
testa gli scoppiava, uscì di corsa dall’istituto e si lanciò
verso il grande prato che costeggiava l’edificio.
Non
si accorse che si trattava di una strada, non lo capì nemmeno quando
un paio di mezzi, che transitavano silenziosi in volo radente, lo
urtarono in sequenza. Rotolò tra i fiori, disturbando decine di api
al lavoro.
Mentre
moriva dissanguato e gonfio di punture, notò che stavano spuntando
le prime stelle nel cielo.
Nell’ultimo
istante della sua vita, associò con amarezza le parole “Six Stars”
all’immensità che stava ammirando, senza saperne più il perché.
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