«Ce
l'hai fatta?»
Leonida
non rispose. Appoggiato al muro del castrum, guardava
l'accampamento nemico. I Goti avevano disposto i carri in cerchio, i
fuochi luccicanti nella notte estiva. Sospirò, poi dette una pacca
sulla spalla del giovane soldato che aveva parlato.
«Morirai»
disse quello.
Leonida
sospirò di nuovo. «Morirò comunque. Urino sangue da settimane,
ormai».
Il
giovane gli si appoggiò accanto. Avrebbe potuto essere suo figlio,
se non fosse stato per i capelli rossi che l'elmo non riusciva a
nascondere.
«Magari
non attaccheremo» proseguì.
Il
vecchio soldato scosse la testa. «L'imperatore Valente vuole
prendersi tutto il merito della vittoria».
Il
giovane, già pallido, sbiancò. «Quale vittoria? I Goti sono più
di noi e la loro cavalleria è migliore».
«Politica,
ragazzo, politica. Ci sono due imperatori: Graziano in Occidente e
Valente in Oriente. Ero presente alla discussione tra Valente,
Sebastiano, il magister
peditum,
e Vittore, il magister
equitum.
Sebastiano ha detto la cosa giusta: dovremmo trincerarci e attendere
l'arrivo di Graziano, ma, al solo sentire il nome del suo rivale,
Valente ha dato l'ordine di attacco».
«Sarà
un massacro» fece il giovane.
Leonida
tacque. Passò molto tempo prima che il giovane prendesse di nuovo la
parola.
«Mi
chiamo Ulfila» disse.
Nessun commento:
Posta un commento